UNA GITA IN FAMIGLIA

“Allora, domani vorrei andare a fare una bella gita a L… tanto per comperarmi un profumo … e tu potresti fare il pieno di gasolio, che lì costa mezzo euro in meno al litro …” queste furono le parole della mia dolce metà mentre mangiavamo una pizza in pausa pranzo.

“Ma si tratta di fare 800 chilometri fra andata e ritorno e poi, domani, c’è la partita dell’Italia … e il pieno l’ho fatto ieri sera …” fu la mia timida obiezione.

“Della partita non me ne può fregar di meno, e poi IO ho bisogno di muovermi un po’ per rilassarmi dopo una settimana di lavoro.” (io, invece, per tutta la settimana mi rilasso in ufficio).

Bene, siccome in casa comando io, se mia moglie mi lascia, viene fissata la partenza per le cinque del mattino.

VENERDI’ 13, già la data è una di quelle che ti invitano a restare a letto senza neanche mettere un piede sul pavimento, sveglia alle quattro e mezzo, carica la macchina di bottiglie di acqua da dissetare un reggimento, maglioni, felpe, impermeabili, ombrelli, qualcosina da mangiare … e via. Alle cinque siamo già partiti. Dopo venti chilometri di autostrada, mia moglie di soprassalto apre il portafogli e tira un sospiro di sollievo. Alla mia muta occhiata interrogativa … “Credevo di aver dimenticato la carta d’identità, invece è al suo posto …” fu la sua risposta.

“PERCHE’? bisogna portare la carta d’identità? … IO l’ho lasciata a casa …”. L’esclamazione stupita proveniva dal sedile posteriore, dove il gioiello di famiglia si era installato con un equipaggiamento elettronico degno della CIA. Lettore MP3 a tutto volume, lettore DVD, secondo navigatore satellitare per controllare se quello in dotazione dà le indicazioni giuste …

“Se vuoi attraversare la Svizzera, un documento di identità lo devi pur avere” fu la contemporanea risposta data da noi poveri genitori deficienti. (In realtà la risposta fu un po’ più lunga e articolata, con chiamata in causa di qualche Santo, nonché del Padreterno e qualche suo parente).

Morale, uscita al primo casello, ritorno a casa per la statale, un calcio nel sedere di mia figlia perché si sbrigasse a recuperare il documento e, dopo dieci minuti di giaculatorie, nuova partenza.

Nel frattempo la nuvoletta di Fantozzi aveva avuto il tempo di organizzarsi e ci accompagnò per tutto il viaggio, esclusa qualche pausa di riposo per rifornirsi di pioggia.

Nel punto cruciale del viaggio, complice anche una scheggiatura del parabrezza della macchina nuova, i navigatori satellitari, ed il loro controllore sbagliarono clamorosamente strada … facendoci allungare il tragitto di un’ottantina di chilometri di strada infernale e ben 48 tornanti fatti in 1^.

Alla fine arriviamo, con due ore e mezza di ritardo sulla tabella di marcia ed entriamo nel nostro negozio di fiducia … “Scusate signori, stiamo chiudendo per la pausa pranzo, riapriamo alle tre …”.

E va bene, andiamo nel solito ristorante (di cui dimentichiamo sempre il nome e l’indirizzo) a mangiare qualcosa, a sgranchirci le gambe e a fare rifornimento di sigarette, caffè, cioccolata, caramelle e alcolici.

Alle tre in punto siamo davanti al negozio … siamo i primi clienti e i due commessi sono tutti per noi. Vorrei comperare una macchina fotografica digitale, che non costi troppo e che sia facile da usare … ci mostrano tre o quattro modelli, sono indeciso, alla fine propendo per un modello che ha lo stesso tipo di memoria che ha anche la videocamera che porto appesa al collo. Tiro fuori il bancomat per pagare. Potrò usare la stessa sia per la camera che per le foto … “Dipende, signore, di quanta memoria dispone la sua stick …” (penso che trenta secondi dopo, il commesso avrebbe preferito mozzarsi un pezzo di lingua piuttosto che dire quelle parole). “Oh, sono sicuro che ce n’è più che a sufficienza …” risposi io “… possiamo controllare subito” (e avrei fatto bene a mordermi ed inghiottire tutta la mia lingua) e, dicendo queste infauste parole premetti il pulsante che espelleva la stick di memoria dalla videocamera. Di solito, la stick esce di mezzo millimetro e bisogna estrarla con le unghie e molta pazienza dal suo alloggiamento. Questa volta, offesa dalle mie parole, scattò fuori come una scheggia impazzita, uno di quei diavoletti a molla che schizzano dappertutto, mi centrò il naso e cadde a terra. No, non sul pavimento e basta, ma si infilò nella sottilissima fessura tra la base del bancone e le mattonelle.

“Mannaggia!” fu la mia esclamazione, “Ecco, le solite mani di cacca!” fu quella di mia figlia. Mia moglie, più diplomatica, preferì stare zitta.

“Nessun problema … la tiriamo fuori subito” fu il commento (ottimistico) del commesso e, in ginocchioni, prima con la lama di una forbice rotta, poi con un metro da muratore cercò di estrarre la malefica stick da suo nascondiglio. Intanto nel negozio aveva cominciato ad entrare altra gente per fare acquisti e rimaneva leggermente interdetta a trovare il commesso disteso per terra che frugava sotto al bancone, io, in ginocchio, che cercavo di illuminare, mia figlia che continuava  fare commenti salaci su di me, la videocamera ed il fondo schiena del commesso. Naturalmente, mia moglie, dopo essersi dilungata a fornire spiegazioni alle persone che entravano sul fatto che non si trattava di un nuovo tipo di giochino erotico, ma della semplice ricerca di una memoria, aveva preferito defilarsi, uscire dal negozio e sedersi su una panchina a prendere un po’ di sole.

Nella mezz’ora seguente, gli strumenti di ricerca erano diventati, in successione: un catalogo degli alberghi del paese ed un filo di ferro piegato ad uncino che si raddrizzava immancabilmente ad ogni tentativo. Un po’ io, un po’ il commesso (in evidente stato di imbarazzo) estraemmo da sotto il bancone chili di polvere, una decina di scontrini fiscali, numerose fascette di plastica, le istruzioni di un TV a colori non più in produzione, la garanzia di un lettore DVD, la SIM di un commesso che si era licenziato un paio di anni prima, uno skypass da 50 euro perduto da un turista l’inverno scorso. Un altro commesso era arrivato con scopa e paletta per far sparire tutto quello che veniva tirato fuori. Della stick di memoria, nessuna traccia. Ormai ero deciso ad andarmene lasciando il mio indirizzo nel caso un terremoto o una inondazione avessero consentito il ritrovamento della mia preziosa card.

Ma oggi è la festa del Santo, che ti fa ritrovare le cose perdute, non può farmi questo scherzetto.

Alla fine con un pezzo di cartone di uno scatolone, il commesso paonazzo, in un ultimo disperato tentativo, cercò di spingere fuori tutto quello che si trovava sotto il mobile.

Dalla mia parte, oltre a un altro chilo di polvere non uscì nulla. Da dietro il bancone, un urlo soffocato del commesso “… eureka! …” sopra il cartone, adagiata come su un vassoio d’argento, la mia preziosa stick! Felicitazioni reciproche, baci e abbracci come per il ritorno del figliol prodigo!

Controlliamo la capacità ed il commesso (con aria truce) mi informa che con quella memoria al massimo posso fare una decina di foto, per cui è meglio che ne comperi una MOLTO più capiente e naturalmente moooolto più costosa. La prendo, la pago e, uscendo, saluto con un “Arrivederci alla prossima volta!” raggiunto, a mia volta dal saluto dei commessi “… a mai più! …” ed accolto dal commento di mia figlia: “Papà … che figura di m….!”

Bi.Co.

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