Come tutti gli anni anche quest’anno il 2 maggio si corre a Padova la Maratona di Sant’Antonio. Gara professionale e non, che ripercorre il piu’ famoso cammino del Santo. Naturalmente aperta a tutti, ha anche un bel percorso stracittadino, per vivere la propria citta’ con occhi e altre percezioni, completamente diversi da quel quotidiano vivere, che ci trasforma in esseri quasi robotici. La varia umanita’ che vi partecipa e’ di ogni tipo e “forma”. La gente si mette in ballo e questa e’ la cosa piu’ bella. Sono sicura che solo una piccolissima parte di questi atleti, pratica regolarmente uno sport, il resto, tantissimi, per fortuna, lo fanno solo per divertirsi. Naturalmente noi quel giorno, essendo, con la trattoria, vicini alla basilica ed al Prato della Valle, lavoriamo tantissimo. Da alcuni giorni prima della gara, normalmente siamo gia’ tutti pieni. L’anno scorso mi prenotarono un gruppo podistico siciliano. Sarebbero arrivati dopo le 14, erano in 10. Normalmente si capisce subito, chi ha preso parte alla gara e quanti chilometri ha fatto. Piu’ moribondi sono piu’ hanno allungato il percorso. Dico proprio moribondi perche’, non e’ la prima volta che qualcuno entra in bagno con le gambe e ne esce raccolto dai compagni o familiari. Alle 14,30 arrivano come d’accordo gli atleti siciliani. Faccio notare che l’anno scorso il giorno della maratona faceva gia’ un bel caldo. Il ristorante era ancora pieno di gente. I signori mi avevano espressamente chiesto di stare in saletta e di preparare un menu’ sostanzioso vista la fame che avrebbero avuto dopo la gara. In saletta quel giorno faceva caldissimo. Si accomodarono, vidi subito che non erano ne’ giovanissimi, ma nemmeno giovani. La maggioranza nonostante i quarantaquattro e piu’ chilometri, era abbastanza in se’. Nel senso che rispondeva a frasi compiute con risposte di un certo senso. Mi accorsi, guardando meglio, che tra loro c’era un atleta sulla sessantina abbastanza cicciottino, il cui colorito virava dal verdognolo al giallino. Ahi, pensai: e questo come se lo mangia il pasticcio, con lo stinco e l’anatra al forno e tutto il resto. Chiesi subito se il signore avesse voluto qualcosa di piu’ leggero. Gli amici schernendolo, dissero che era solo stanco e che una bella mangiata lo avrebbe rinfrancato e che in fin dei conti era un uomo e le mie erano paturnie di femmina. Fatto sta che l’atleta diventava sempre piu’ verde, sudato per il gran caldo, ed appena mise in bocca il secondo boccone di pasticcio, crollo’ giu’ dalla sedia come un palloncino sgonfio. Io subito esortai i compagni, abbastanza restii, a portare il sofferente in cortile. A braccia lo portarono fuori, non sapevo su cosa stenderlo, mi accorsi che in un angolo c’era un “regalino di Giorgio”, che consisteva in una copertina giallina dalla provenienza sconosciuta. La estrassi dal sacchetto e ci adagiai sopra il “semi-cosciente” atleta. Il colore della copertina si intonava benissimo alla tuta ed alla faccia del sofferente, una bella variazione di gialli e di verdi. Mi complimentai con me stessa per il gusto raffinato della composizione. Rimasi un po’ al capezzale dell’infermo facendogli aria con un pezzo di cartone. Rincuorandolo, visto il suo profondo imbarazzo per l’accaduto, gli dicevo che aveva trovato un bel modo per stare solo con la cameriera. Nel frattempo i suoi “amici” continuavano a prenderlo in giro, sempre con sta storia, che in quella situazione, non era per cosi’ dire un “uomo”. Quando tutti finirono il pranzo si presero cura dell’amico. Quando fu il momento di andare, mi misero al corrente di quanto avevano corso, di quanto si erano allenati e dell’eta’ di ognuno e quindi di quanto forti erano, per cui “uomini”. Io donna in quel momento non invidiavo per niente quel retaggio maschile. Almeno noi donne quando stiamo male, nessuno ci schernisce, non dobbiamo dimostrare a nessuno di essere “donna”.
D.R.C.