CHE CANE DI PADRONE

L’anno scorso, le vacanze estive, le uniche, le trascorremmo a Lerici. Soggiornammo in un agriturismo su un colle, nel monte Marcello. In quell’occasione ancora una volta potei riscontrare la precarietà delle indicazioni forniteci dal telefono satellitare, la prima volta ci portò in un cimitero nelle valli del Po, dovevamo andare a mangiare il pesce. La seconda e tutte le altre normalmente ci fa percorrere circa un terzo in più del percorso. Perchè, che se ne dica, ma svoltare a destra, ancora a destra ed ancora a destra, per me vuol dire fare un inversione di marcia. IL nostro satellitare ci ha fatto diventare campioni di inversioni a U. All’agriturismo conoscemmo Marco il titolare, che, oltre ad essere un cuoco eccellente è anche un attore drammatico bravissimo, specializzato in tragedie greche. L’anno scorso ne aveva appena recitata una. La storia era questa, o perlomeno quello che ho capito io. Ad un re era stata promessa l’immortalità, a patto che qualcuno sacrificasse la sua vita per lui, chiese così a suo padre se potesse prendere il suo posto negli inferi. L’arzillo vecchietto disse che non ci pensava neanche. Così si offrì la moglie, ad un patto che dopo di lei non ci sarebbe stata nessun’altra, detto questo agevolmente trapassò. Al palazzo vennero dichiarati il lutto stretto, con tutto quello che ne consegue. Nel qual tempo il re faceva le sue considerazioni, se fosse stato vantaggioso il cambio. Una vita eterna in bianco non era il massimo. Arrivò a palazzo un semi-dio, che si offerse per andare a riprendere la moglie negli inferi, sò o no sò un semi-dio. Ritorno della sposa grandi feste, fine della tragedia. Ma Marco poi ci isinuò un dubbio: la tragedia era lei morta o lei tornata? Il territorio del parco di monte Marcello è una sorpresa, il mare e i borghi veramente bellissimi. Dopo una mattinata al mare sugli scogli, passavamo le ore più calde in un luogo incantevole. Uno di questi è Ameglia, un piccolo borgo, arrivando dalla strada principale, ed entrando sulla sinistra, si percorrono pochi passi e si arriva alla chiesetta. La chiesetta è sulla sinistra, sulla destra la casa del prete, penso, con delle panchine in pietra, a quell’ora sempre all’ombra. Davanti il muretto e la valle. Sì la chiesetta è costruita a picco sulla valle. Il piazzaletto, non più di un sei metri per quattro, è sovrastato da un bel campanile. Campanile provvidenziale, perchè con quel freschetto, il silenzio e magari un libro un pò noioso si rischia di fare un buon sonno. Un pomeriggio ci sedemmo ai nostri posti con il libro, parlando a bassa voce per non rovinare l’atmosfera sospesa nel tempo. Un falegname stava restaurando il bellissimo portale della chiesa, silenzio, rilassamento più totale. Arriva dopo un pò una signora,  io ed il mio compagno, che ormai lavorando da anni a contatto con il pubblico, definiamo subito, con uno sguardo complice, rompi balle. La signora è accompagnata da una povera bestiola agonizzante per il caldo. Lei, guardando il falegname arrampicato sulla scala, chiede se può entrare  in chiesa, con il cane, lui  ci guarda e risponde alla signora:” Veda lei.” La signora prima dice che non può lasciarlo fuori, poi che lo tiene in braccio, la trattativa va avanti per dieci minuti.  Vista la risolutezza del falegname, decide di legare il cane e di entrare, allorchè il falegname ci lancia un occhiata che voleva dire:” Ma ste matte qua, non possono stare a casa loro”? Intanto lui risale sulla scala e ricomincia a lucidare il portone, dopo poco la signora esce e gli dice che c’è una scritta su un quadro che è senza occhiali, che scenda e gliela vada a leggere. Il falegname le risponde che sta lucidando il portone e non fa la guida. Al chè scende dalla scala e nel mentre sta per mandare a quel paese la signora, questa riceve una telefonata. Ci siamo ascoltati, nella pace di quel luogo, sta cafona, che litigava con il figlio. Io stavo per cacciarla a pedate sul didietro, ma mi faceva tanta pena il cagnolino, che nonostante i rintocchi potenti del campanile era sprofondato in un sonno profondo.

D.R.C.

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