UNA MAMMA UNIVERSALE

 

Nel 1985 arrivò nella mia casa, dal canile, una dolcissima cagnolina di nome Yachie. Non era proprio una bellezza assomigliava un pò ai cani della Regina d’ Inghilterra. Dotata di un’ intelligenza fuori dal comune, credetemi, come seconda qualità aveva quella di essere una mamma ” universale”. Un pomeriggio andammo come al solito ai giardinetti sotto casa, c’era appena stato un temporale, era primavera, Yachie gironzolava annusando dappertutto. Dopo un pò la vidi arrivare con in bocca un piccolo uccellino, vivo, delicatamente, lo appoggiò al suolo, guardandomi interrogativa tra mille uggiolii e scodinzolii. Lo raccolsi e lo portai a casa, Sotto il controllo continuo di Yachie l’ uccellino cresceva. Lei gli era costantemente  vicino, il massimo della felicità era quando l’ uccellino planava a terra e lei se lo portava nella cuccia tenendolo in bocca come un suo cucciolo, per poi leccarlo come un gelato. Quando aveva finito con la toelettatura,si acciambellava vicino all’uccellino per tenerlo al caldo. Noi all’ inizio le proibivamo i contatti con l’ uccellino, che viveva libero in cucina, ma poi scoprimmo che era lui stesso che la cercava. Questo ” idillio” durò più di un mese, poi un pomeriggio decidemmo che era il tempo di lasciare libero l’ uccellino, a cui avevamo insegnato a cavarsela per bene. Lo liberammo dove era stato trovato. Appena libero spiccò un bel volo sull’albero, e Yachie disperatissima, lo chiamò abbaiando per un’ ora. Sul far della sera l’uccellino tranquillamente scese dall’albero e si fece prendere in bocca da Yachie, che poi a sua volta lo portò a me, come la prima volta. Questo rituale si ripeté  per circa venti giorni, io prima di andare al lavoro , liberavo l’ uccellino ai giardinetti, verso sera ritornavo con Yachie lei lo chiamava, abbaiando a più non posso sotto l’ albero, lui arrivava, in bocca e in bicicletta e poi a casa. Però una sera l’uccellino non tornò più e Yachie lo cercò ovunque rimase un bel pò triste. Poco tempo dopo arrivò in regalo un pesciolino rosso e a Yachie piaceva tanto, ma le piacque ancora di più, quando lui all’ora del telegiornale, saltava fuori dall’acqua e lei poteva prenderlo in bocca e portarmelo. Non so se il pesce fosse d’ accordo, ma così facendo Yachie gli salvò le squame più di una volta.

D.R.C.

M I N N I E

 

Quando arrivò nella mia casa Yachie, era incinta e dopo due mesi, partorì, purtroppo, sul mio letto cinque, cuccioli. Una di loro rimase con noi si chiamava Minnie. Lei possedeva tutta la  grazia e la bellezza che una creatura può avere. Non era invece dotata di grande prontezza di spirito, di adattamento, di intuito e di prepotenza. Aveva per così dire qualcosa di superiore, di quasi principesco. Lei e la sua mamma erano come certe coppie famose: Piperita Patti e Marcie, Frodo e Sam, Spiderman e Robin.   Yachie adorava fare  gli agguati agli uccellini, per cui aveva selezionato una tecnica perfetta. Quando percepiva la “preda” mi chiamava, io la prendevo in braccio, le pilotavo li musetto verso l’ obbiettivo e quando sentivo che si irrigidiva  e cominciava a vibrare voleva dire che aveva il bersaglio nel mirino. Appena messa a terra scattava come una saetta, alla cieca, le erbe erano sempre troppo alte per lei. Abbaiava e correva, Minnie che capiva da poco a niente , quello che accadeva , si precipitava a sua volta abbaiando, correndo in tutte le direzioni. Il risultato era sempre quello, uccellino volato e Yachie frustrata che rincorreva Minnie, forse per sbranarla Tanti furono gli episodi dove la figlia dimostrò verso la madre, l’ immenso amore che aveva, dalle veglie, quando Yachie fu molto grave, alla volta in cui per difenderla da una vipera quasi non morì. Lasciava sempre la sua mamma mangiare più di lei, mi ricordo in campeggio una volta, in cui Minnie ci rimase malissimo, aveva sotterrato dei biscotti Yachie glieli aveva saccheggiati tutti e lei passò tutto il pomeriggio a far buche in giro. Questa meravigliosa creatura aveva per me un’adorazione e così io per lei. Era così sempre seconda, sempre dopo. A lei perenne gregaria toccò anche la sfortuna di morire dopo. La mamma per la malattia era diventata lentissima, quando Minnie non la vedeva più arrivare mi guardava interrogativa e si girava per cercare Yachie. Quando Yachie morì, si girò tante volte a cercarla. Quando morì, a dieci giorni di distanza dalla madre, io le dissi solo una cosa:” Sarà solo per un attimo.” Sono state fra le radici dell’albero e delle rose, rose ed albero. Sono state per me le due piccole stelle nel cielo quando tornavo a casa la notte.

D.R.C.

La Minnie si alzava sulle zampe, per diventare più alta e guardar lontano. Quando arrivavo, lei mi sentiva e spesso si sbagliava andando incontro, facendogli le feste, a tutti i motociclisti che incontrava. Il Drughetto sempre felice.

A.L.

Il borsello

 

Nel 1970 avevo nove anni e trascorrevo 15 giorni ad agosto in vacanza con gli zii.

Andavamo al mare a Sottomarina, località popolosa e popolare partivamo con la 500 beige, io, mia cugina di 7 anni,suo fratello di un anno, mio cugino di 11, mia zia mio zio e un’altra zia. Riepilogando 3 adulti e tre bambini. La partenza era sempre concitata, perché non sempre una massa mostruosa entra in un solido piccolo, questo, contro ogni legge della fisica. io e i miei cugini soffrivamo di mal d’auto e mio zio, povero, aveva a che fare con tre vomitanti fin dalle prime ore del mattino. Quella mattina le cose andavano come al solito, nella macchina non ci stava più uno spillo, io avevo la nausea, i miei cugini si picchiavano e i miei zii litigavano. Partimmo, lungo il percorso le macchine che ci sorpassavano, ci suonavano e facevano i fari, quelle che venivano dalla direzione opposta ci suonavano e i conducenti facevano strani gesti indicando  il tetto della macchina.

Mio zio incazzato nero rispondeva a parolacce e a gestacci.  Dopo più di un’ora arrivammo a destinazione e quando lo zio scese dalla macchina si accorse che il suo borsello, in finta pelle marrone, era rimasto sopra la cappotta della 500 incollato dal caldo. Dentro c’erano tutti i soldi per le ferie, le uniche che un operaio allora poteva permettersi.

D.R.C.