Baccalà e diabolici marchingegni

“Oggi andiamo a mangiare dalla C.?” Chiese mia moglie al telefono, come tutti i giovedì.

“E ci mancherebbe altro che non andassimo, oggi c’è il baccalà!”, risposi io che sono a dieta, ma non riesco a calare di un grammo.

Detto fatto, alle tredici ci presentiamo alla trattoria (la migliore di Padova) convenzionata con il nostro datore di lavoro per effettuare il servizio di mensa.

Con sorpresa veniamo accolti da M. il proprietario che, con un’aria da cocker bastonato, e mesta voce da funerale, ci dice che oggi C. è ammalata, ha la sciatica, ma non dobbiamo preoccuparci perché si tratta di una cosa passeggera.

Ci accomodiamo e iniziamo a mangiare (il baccalà che ti servono è pura poesia, un’ode al palato, una goduria per le papille gustative, un sonetto alla gola, un tripudio per lo stomaco), leggermente preoccupati conoscendo la feroce antipatia che M. ha per la tecnologia in genere, ed in particolare per quella applicata nel suo locale.

Con lui si può parlare di cucina (il mio argomento preferito) o di pesca (il suo argomento preferito), ma assolutamente non si deve parlare di computer e porcherie del genere.

Dovete sapere che il nostro datore di lavoro non utilizza i soliti buoni-pasto come tutti i datori di lavoro ma, per controllare che noi dipendenti peones andiamo veramente a mangiare durante la pausa-pranzo, utilizza lo stesso badge magnetico che usiamo per marcare l’entrata e l’uscita dall’ufficio. Strisciando il badge in un’apposita macchinetta (e premendo i tasti nella corretta sequenza) si paga il conto, si segnala che a quell’ora eravamo veramente a pranzo e che non siamo andati a fare la spesa.

Man mano che il pranzo prosegue, dal tavolo vicino ci giunge voce che C. sia influenzata, malattia di stagione che, però, poco ha a che fare con la sciatica.

Andando a prendere le ordinazioni agli altri tavoli sia M. che V., la collaboratrice, giustificano l’assenza di C. con le malattie più disparate: tosse cattiva, bronchite, malessere in generale, tutto il repertorio dell’enciclopedia medica dall’abulia a zanzare (punture di) saltando solo il ginocchio della lavandaia e il gomito del tennista.

Intanto, altri colleghi arrivati prima di noi, stanno terminando il loro pasto e, avvicinandosi il momento di passare il tesserino nella macchinetta, la preoccupazione di M., installatosi alla cassa, è sempre più evidente. I turisti contenti pagano in contanti, i dipendenti di altri Enti lasciano i loro buoni, salutano e se ne vanno ma, quando arriva il primo dei nostri colleghi che porge sorridente il badge, M. è preoccupatissimo e, restituendo il pezzetto di plastica come se fosse un tizzone ardente, con un sorriso imbarazzato cerca di evitare il problema: “ti arrangerai domani con C.”, ma non è possibile, se la strisciata la faccio domani, risulterà che oggi ho mangiato a sbafo e domani che ho mangiato abusivamente …

Anche mia moglie ed io cominciamo a preoccuparci, rallentiamo il ritmo dei bocconi per seguire lo sviluppo della situazione.

Sull’orlo della disperazione, M. afferra il telefono e chiama la quasi moribonda C.

“… allora devo passare … premere … e il gioco è fatto”. Tutto questo, naturalmente facendo seguire la pratica alla teoria … ma, invece di sentire il ticchettio della stampante … silenzio assoluto … “ERROR”, proviamo ancora una volta … dal telefono esce una voce roca che poco ha di umano.  “… allora, passare … premere … e il gioco è fatto …”

“ERROR”, grosse gocce di sudore cadono dalla fronte di M. direttamente sulla macchinetta diabolica. Qualcuno vorrebbe parlare al telefono con C., ma M. non molla la cornetta anzi, brandendola come una mazza, picchia selvaggiamente le dita dei malaugurati attentatori.

Intanto, la coda alla cassa si è allungata e M., agitatissimo, fa il conto ai turisti e agli altri avventori.

Approfittando di un suo momento di distrazione, V. di nascosto afferra la cornetta, compone il numero fatidico e, nascosta sotto al bancone si fa dare le istruzioni giuste. Sentiamo la sua voce soffocata dal banco e dal brusio “… allora, passare … premere … e il gioco è fatto …”.

Ormai il nostro collega, che per primo aveva osato presentare quella malefica tesserina, preso dallo sconforto stava tirando fuori il portafogli per pagare la consumazione quando V. (con molta diplomazia) prende M. per un braccio e gli chiede di provare per l’ultima volta.

Anche se disperato e sull’orlo di una crisi di nervi M. non si dà per vinto e, con V. che gli suggerisce alle spalle, “… allora, passare … premere 2 volte… e il gioco è fatto …”. Dall’altra parte, il rassicurante ticchettio della stampante ci dice che l’operazione si è conclusa favorevolmente. ALLELUJA! Grondante di sudore, ma felice, M. si abbandona ad un sorriso da un’orecchia all’altra poi, mormorando quattro parolacce, rivolgendosi a V. a voce alta “… e ‘desso va’ vanti ti che mi go da fare in cusina! …”

E in pochi minuti V. ci ha combinati tutti lasciandoci tornare contenti ai nostri uffici.

Ma a me ed alla moglie è rimasta un po’ di preoccupazione, “… ma C. che cosa avrà di tanto grave?”

Bi.Co.

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